Il Sistema Informativo Territoriale: le scelte metodologiche e l’architettura del sistema

 

Nell’ambito del Progetto Mezzogiorno P.O. Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Alta Formazione, coordinato da Marco Malavasi per il CNR, le unità operative della Seconda Università di Napoli, sotto la responsabilità di Stefania Quilici Gigli e dell’ Università degli studi di Bologna sotto la responsabilità di Lorenzo Quilici dal 1997  al 2000 hanno effettuato una ricerca topografico-archeologica nella media ed alta valle del Sinni (Basilicata). 

Per la gestione e la elaborazione dei dati si è progettato un S.I.T. partendo dalla consapevolezza della complessità e della diversificazione proprie della struttura stessa del territorio. 

Alla luce di una corretta prospettiva antropologica, infatti, il territorio può essere inteso come “matrice” che informa di sé la vita dell’uomo, gli insediamenti, la creazione di manufatti e, di rimando, “calco” che riporta su di sé le tracce delle modifiche da essi introdotte, in una parola è il contesto della materialità che con essa interagisce. L’analisi delle testimonianze antiche, pertanto, non può essere limitata alle sole sopravvivenze materiali del passato, sostanziate dalle tre dimensioni spaziali, ma deve essere estesa alla immaterialità che ne costituisce il tessuto connettivo, come la dimensione temporale, conservandone e valorizzandone le interrelazioni.

Al fine di ricostruire questa fitta rete di relazioni, era apparso fondamentale superare, nei limiti del possibile, la casualità dei rinvenimenti, rendere più efficace e sicura l’acquisizione dei dati e la loro rielaborazione, ma, soprattutto, migliorare la loro fruibilità al di là dei più angusti limiti delle carte tematiche tradizionali, ovvero permettendo associazioni e interrogazioni di carattere tipologico, cronologico, logico e topologico. 

I diversi componenti del sistema informativo “Territorio”- una banca dati schedografica, una base cartografica in formato vettoriale e raster e un repertorio di files di immagine- dovevano, pertanto, confluire in una base comune dall’architettura aperta, il più possibile indipendente dalle finalità della catalogazione, al fine di agevolare gli eventuali approfondimenti o l’uso di tipologie di dati non contemplati all’origine. 

Sin dal principio si è preferito ricorrere a programmi di larga diffusione sul mercato e di facile accesso, piuttosto che adoperare un pacchetto chiuso, progettato per l’occasione da specialisti, al fine di evitare l’inesorabile “invecchiamento” del software non aggiornabile, né modificabile senza l’intervento di tecnici informatici nonché problemi e complicazioni nella diffusione e nella consultazione della banca dati da parte di terzi. 

Per poter disporre di livelli di schedatura e, quindi di informazioni, liberi, combinabili a seconda del tipo di ricerca che si sarebbe voluta condurre di volta in volta, la banca dati a-numerica non poteva che essere formulata in modalità relazionale. 

Questi sistemi basati sulla corrispondenza semiotica di punti e rete di riferimento, rispecchiano in linea teorica, la struttura reale del territorio che si configura, appunto, come una rete costituita da una serie di fattori puntuali che relazionati in un insieme vedranno il loro valore incrementarsi ben al di là della somma algebrica dei valori di partenza. 

Si è, così, adoperato il software Microsoft Access 7: la configurazione .mdb, essendo uno standard di visual basic, si presta ad essere gestita e interrogata dai principali software in commercio (Oracle, Delfi, SQL Server ecc.) e può essere riutilizzata nel tempo indipendentemente dal grado di evoluzione del programma adoperato al momento dell’immissione dei dati; è, inoltre, possibile la lettura dei dati tramite pagine web attive utilizzabili per la pubblicazione su internet o su reti proprietarie basate sul protocollo TCP-IP. 

Pur tenendo conto delle norme ministeriali fissate dall’ICCD, si è superata la logica gerarchica che in quel sistema presiede ai rapporti fra le varie schede, nella consapevolezza che in uno studio topografico le diverse realtà hanno tutte uguale valore di testimonianza archeologica.

Esaminando più nel dettaglio l’architettura della banca dati, l’entità di base o meglio il fulcro del sistema delle relazioni, è costituito dall’evidenza archeologica indifferenziata -indicata con il nome convenzionale di “presenza”- per la quale è stata formulata una tabella contenente un corredo minimo di informazioni, indispensabili a definirla in modo sintetico (nome proprio, località di rinvenimento, descrizione, riferimento alla base cartografica, stato di conservazione, regime giuridico ed eventuale esistenza di vincoli archeologici); tutti i descrittori, funzionali ad un più articolato inquadramento dell’evidenza archeologica, confluiscono invece in altre tabelle differenziate a seconda del tipo di evidenza che si sta schedando, collegate alla tabella di “presenza” tramite una relazione biunivoca. 

In base alla sussistenza di nessi di appartenenza -ad esempio una cisterna è riconosciuta parte integrante di una villa rustica- è, però, possibile introdurre una struttura gerarchica all’interno del generale modello relazionale ma in qualsiasi momento tale struttura può essere modificata con l’individuazione di un nesso di tipo logico.

Differenziando le entrate, si snellisce notevolmente la struttura della scheda che risulta ben lontana dall’articolazione gerarchica dei moduli ministeriali di complesso archeologico (CA) e di monumento archeologico (MA), peraltro in corso di revisione; contestualmente, si arricchisce il potenziale delle informazioni a disposizione: grazie ad un sistema di maschere che filtrano i dati dalle diverse tabelle in relazione fra loro viene quasi del tutto superato il concetto tradizionale di scheda. 

Mediante una serie di tabelle che collegano trasversalmente le diverse entità è, infatti, possibile accorpare  le evidenze archeologiche in una prospettiva diacronica o su base tipologica o sotto infiniti altri aspetti, permettendo un’agile navigazione da un livello informativo all’altro, quasi come in un ipertesto.  Questa funzionalità rende superflue la maggior parte delle ricerche che normalmente si effettuano all’ interno di un data base, infatti è sufficiente seguire i nessi logici per rintracciare la maggior parte delle informazioni che compongono il contesto.

La struttura aperta del sistema ha permesso, in corso d’opera, di implementare le classi monumentali previste in origine e di stabilire nuove relazioni e collegamenti in precedenza non ritenuti necessari. 

Grazie alla progressiva memorizzazione delle relazioni, è stato possibile arricchire la banca dati secondo tre diverse modalità, ovvero mediante la creazione di nuovi collegamenti fra dati già immagazzinati - questo ha permesso di immettere i dati per blocchi disaggregati e di stabilire nuovi collegamenti in base ai nessi logici e consequenziali evidenziati di volta in volta con lo studio della base documentaria a disposizione oppure tramite l’immissione di altri dati descrittivi o, più semplicemente, aggiungendo le ipotesi interpretative elaborate di volta in volta.

Si è, poi, lasciato ampio spazio a tutte le informazioni indispensabili allo svolgimento di una ricerca topografica di tipo tradizionale: le notizie bibliografiche e d’archivio, lo studio delle fonti antiche e delle epigrafi, l’analisi dei toponimi e della cartografia storica, la ricontestualizzazione di reperti conservati presso musei, la schedatura di evidenze archeologiche non più esistenti ma documentate in altro modo .

Al fine di “normalizzare” i dati evitando ambiguità e incomprensioni si è, inoltre, codificato un linguaggio chiaro, compatibile con l’architettura degli elaboratori: si sono predisposti allo scopo vocabolari univoci confluenti in una serie di campi vincolati che conferissero uniformità alla inventariazione delle informazioni. 

La possibilità, offerta da Access, di disporre di diverse repliche della banca dati centrale, ha permesso di fare del programma una sorta di protocollo metodologico della ricerca e quindi non solo il contenitore che permettesse di archiviare e rendere disponibili i dati, ma anche di favorire la divisione dei compiti ed il lavoro di gruppo anche a distanza in modalità asincrone.

Il programma “Territorio” costituisce, anche, il motore del sistema informativo grazie alla piena interazione con i software di gestione della cartografia e delle immagini: la tabella di “presenza”, infatti, è collegata direttamente alla sua rappresentazione spaziale rappresentando il punto di interscambio tra il frutto dell’attività di ricerca e la cartografia tematica. 

La gestione della base cartografica e la elaborazione delle carte tematiche sono state, infatti, realizzate con un software GIS[1] facilmente interfacciabile con lo standard .mdb proprio del data base appena presentato. 

Una delle acquisizioni principali connessa all’uso di software GIS consiste nella possibilità di rappresentare nello spazio geografico non solo dati che spaziali non sono, ma anche i nessi logici eventualmente istituibili tra tali dati. In aggiunta a quanto detto, è anche possibile, più in generale, accostare fra loro dati logici e geografici permettendo di effettuare analisi spaziali.

Nell’ambito della presente ricerca, tali operazioni sono state possibili solo in parte in ragione dell’indisponibilità di una copertura totale del territorio esaminato in formato vettoriale che fungesse da base all’ancoraggio dei “vettori archeologici”. Le analisi spaziali possibili sono quindi per il momento limitate all’ interno dei dati rilevati sul campo mentre la futura acquisizione di carte base vettoriali consentirà più raffinate analisi riguardo all’ interazione tra gli elementi conservati del paesaggio e le testimonianze diacroniche dell’ uso del territorio.

Per la ben nota la limitatezza della estensione della copertura cartografica ad elevato denominatore per buona parte delle Regioni italiane -rilevabile già per il solo formato cartaceo ma ancora di più per la base in formato vettoriale- si è costretti ad operare diversamente con un grado di imprecisione che risulta, però, pur sempre accettabile.

Più in particolare, per il comprensorio indagato si disponeva:

·       delle CTR della Regione Basilicata in formato ortofoto (alla scala 1:10000) 

·       del rilievo aerofotogrammetrico realizzato a cura della Comunità montana (alla scala 1:10000) 

·       delle carte topografiche dell’I.G.M. alla scala 1:25000 e 1: 50000

L’intera base cartografica è stata acquisita in formato raster e, successivamente, georeferenziata [2].

In parallelo allo svolgimento della ricerca si è proceduto a redigere la carta archeologica vettorializzando, laddove era disponibile, tutta la base grafica pregressa al fine di non aggiungere spostamenti, sia pure di lieve entità, nel posizionamento “a video” delle evidenze archeologiche note.

Per l’ubicazione delle evidenze rintracciate nel corso delle perlustrazioni, laddove essa risultava problematica, si è fatto ricorso al posizionamento satellitare utilizzando il G.P.S. parte integrante del sistema SIVA G.P.S. messo a punto dalla DS Ingegneria per il C.N.R.

Il prototipo di questo sistema è stato affidato alla cattedra di Topografia antica della S.U.N. perché ne eseguisse il testaggio; nonostante sia passibile di ulteriori cambiamenti, funzionali a migliorarne la trasportabilità, il SIVA G.P.S. ha il merito di consentire una rapida schedatura dei beni mobili presenti sul territorio. Esso permette, infatti, di posizionare il bene effettuando, sul campo, l’immediato riscontro sulla base cartografica, permette di acquisirne la ripresa  fotografica  e di effettuarne una schedatura preliminare. 

Ancora una volta l’immissione e la gestione dei dati avviene all’interno di una struttura relazionale il cui fulcro è costituito dall’evidenza archeologica.

Per il futuro è auspicabile che si possa bypassare ogni fase di passaggio da un sistema all’altro, rendendo, così, più agevole e realmente integrato il sistema informativo di topografia antica alla cui definizione sta lavorando sin dalla sua istituzione la cattedra di Topografia antica (prof. Stefania Quilici Gigli) della Seconda Università degli Studi di Napoli.

 

Laura Petacco

Stefania Quilici Gigli

Luca Sasso D’Elia

 


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[1] Si tratta di Arcview della ESRI, forse il software Gis più diffuso, al momento, sul mercato.

[2] In tutti i casi si è adoperato il sistema di coordinate Gauss-Boaga per la maggiore diffusione e l’uniformità agli standard dell’UE.