PROBLEMI DI CODIFICA IN UN DATA-BASE TERRITORIALE

Luca Sasso D'Elia

La registrazione attraverso schede dei dati inerenti al territorio, o meglio ad alcune parti di esso con valenza paesistica, archeologica o storica, presenta essenzialmente due tipi di problemi: quale tipo di scheda utilizzare e in che modo riempire le sue voci.Tali problemi, a ben vedere prescindono dal fatto che i dati debbano o meno essere trattati per via informatica, anche se tale opzione costringe ad una logica stringente e organica che spesso è stata trascurata dagli studiosi, ma che non ha altra funzio-ne che di evitare ambiguità ed effettuare schedature il più possibile universalmente comprensibili e indipendenti dalla forma-zione dello schedatore.Da anni l'ICCD persegue coerentemente questo obiettivo cul-turale; in particolare a partire dal 1986, anche per la sollecitazione dei progetti di informatizzazione dei Beni culturali nati dalla legge finanziara del 1986. 

Sono nate così le varie norme per la compilazione delle schede del catalogo che con la loro strutturazione dei dati costituiscono un sicuro riferimento per chiunque si ponga il problema della schedatura nell'ambito dei Beni Culturali.In particolare per quanto riguarda il territorio risale allo scor-so anno la pubblicazione della struttura dati delle schede terri-toriali e dei beni immobili (Sito CA/MA A); pertanto nel creare un data base territoriale è impossibile prescindere da quanto proposto dall'ICCD. 

Tuttavia una attenta analisi della logica che ispira le schede del catalogo, per quanto riguarda la loro applicazione al territorio, può suggerire alcune modifiche per migliorarne la struttura (che del resto nella prefazione viene definita come sperimentale dalle stesse autrici — Dott.ssa Parise Bodoni e la Dott.ssa Ruggeri — e bisognosa di opportuna sperimentazione).Per quanto attiene strettamente al tipo di strutturazione dei cam-pi (definiti come: obbligatori, ripetitivi, strutturati e liberi) non appare necessaria alcuna modifica, ma il sistema di connessione delle schede, tipico di un database gerarchico, attraverso il concetto di riferimento orizzontale e verticale non appare particolarmente efficace se si prende in esame il territorio.

Appare infatti abbastanza problematico stabilire rapporti gerarchici o analogici tra realtà complesse e che dal punto di vista storico hanno tutte indistintamente un valore primario di«testimonianze» e solo occasionalmente un valore «artistico»e di pregio insito nel bene stesso.

La stessa scheda di sito, quella che andrebbe utilizzata nella schedatura del territorio, esiste solo in quanto contenitore di schede gerarchicamente subordinate cui si rimanda anche per dati di cui sarebbe opportuno poter disporre immediatamente.

In pratica presuppone una schedatura di dettaglio che non sempre è possibile e produttivo effettuare. 

Infatti per lo studio del territorio molti dati contenuti nelle schede MA/CA, A ecc. sono decisamente superflui mentre quelli contenuti nelle schede SI non sono sempre sufficienti.In pratica la logica delle schede dell'ICCD è fortemente orientata verso un approccio agli oggetti che va dal particolare verso il generale e solo occasionalmente in senso inverso. Nel nostro caso invece spesso è necessario che ciascun livello di conoscenza (e quindi di schedatura) possa esistere indipendentemente da eventuali approfondimenti o ulteriori sintesi e generalizzazioni.

L'esperienza della ricognizione e il costante e necessario uso delle varie cartografie, spesso disponibili a scale diverse suggeriscono di superare la logica dei rapporti gerarchici tra le varie schede con riferimenti orizzontali e verticali a favore di un'ottica cartografica che per ogni tipo di scheda preveda una scala.Si tratta in pratica di fissare per ogni tipo di scheda il grado di analisi cui si vuole arrivare, così come nel realizzare una car-tografia se ne fissa la scala. 

E evidente che in una cartografia al 10.000 le particolarità dei singoli edifici non sono riportabili così, per analogia, in una scheda di Sito andranno schematizzati e riassunti dati che sarebbero invece analiticamente esposti in una scheda MA, come del resto in una cartografia in scala1:100.

Proprio lo studio topografico ci insegna che la scala di rappre-sentazione non determina solo le dimensioni della carta realizzata (e per analogia nel nostro caso la quantità di dati registrati in una scheda) ma anche il tipo di rappresentazione dei parti-colari.Se una carta al 10.000 non è soltanto una riduzione meccanica di rappresentazioni in scala 1:100 ne quest'ultima può essere vista solo come particolare di una cartografìa generale, anche nel campo delle schede territoriali che attraverso strumenti diversi tendono alla rappresentazione della stessa realtà, i rapporti tra schede di Sito e di Monumento non possono essere semplicemente gerarchici e gestiti attraverso una riduzione od un incremento di voci ne tanto meno attraverso rimandi che rendono imprescindibili tutti i livelli di indagine.La struttura proposta dall'ICCD per le schede di dettaglio sembra essere rispondente alle esigenze dello studio monumentale ed in ogni caso esula dal tema di questo convegno; per quella di Sito invece la proposta è di integrarla con alcune voci prese appunto dalle schede MA/CA ed altre decisamente nuove e funzionali ad un punto di vista territoriale.Si rimanda alla allegata tabella di campi per una dettagliata analisi delle proposte di modifica ed integrazione delle singole voci.Si tratta ovviamente di un tracciato di scheda ancora in fase di sperimentazione per l'informatizzazione dell'intera Carta dell'Agro Romano, ma che presenta il vantaggio di poter «genera-re» per ogni record una scheda SI di formato ICCD ed eventualmente anche una scheda MA/CA o A, come pure di poter importare tali schede generando propri records.Il secondo tipo di problemi, che occorre avere ben chari per pianificare una schedatura territoriale, riguarda il linguaggio da utilizzare, in pratica il modo m cui riempire le voci delle schede.Qualsiasi attività scientifica che ricorra al supporto della sche-datura e della classificazione deve affrontare in via preliminare i problemi della codifica dei dati, problema che oggi è reso ancora più attuale dall'utilizzo degli elaboratori ma che a ben vedere prescinde da esso e costituisce l'unica garanzia di rigore metodologico. In altre parole bisogna stabilire in modo non am-biguo la sequenza con cui registrare i dati (e quindi, come abbiamo visto prima, il tipo di scheda più adatto a condurre una determinata ricerca) ma anche il linguaggio da utilizzare per evitare equivoci, ambiguità e incomprensioni.Fino ad oggi gli archeologi, gli storici dell'arte, in buona misu-ra anche gli architetti, cioè tutti gli operatori nel campo dei Beni Culturali con una formazione sostanzialmente umanistica,sono stati scarsamente sensibili al problema di definire in mo-do univoco il proprio linguaggio (al contrario di quanto è accaduto in altre discipline in cui pure molto importante è il la-voro di schedatura e classificazione, come ad esempio in biolo-gia o medicina ecc.) e ciò è facilmente riscontrabile se si esami-na la letteratura scientifica riguardante i Beni culturali.Ma se tale libertà di espressione è giustificabile, anzi in molti casi piacevole, nella comunicazione editoriale, essa rischia di rendere inutilizzabili ed intrinsecamente limitate tutte le attività di ricerca basate sulla schedatura e la classificazione.Non è quindi sufficiente definire la struttura dei dati, ne limi-tarsi ad elaborare dei vocabolari per restringere il numero dei termini da utilizzare, è necessario anche definire la struttura del linguaggio di codifica se si vuole che i censimenti territoria-li siano veramente efficaci e gestibili appieno attraverso metodologie informatiche.Vorrei qui proporre il tipo di linguaggio per predicati e attributi che stiamo sperimentando nel data base territoriale Carta dell'Agro senza la pretesa che questo risolva tutti i problemi di codifica e che possa essere presa a modello, ma come stimolo affinchè tutti coloro che si occupano di schedature territoriali riflettano sul problema e attraverso un confronto approfondito ed articolato si possa prima o poi arrivare alla  definizione di un linguaggio codificato da utilizzare nel campo o dei Beni Culturali.

La logica su cui si basa è elementare, vengono definiti un numero di predicati non ambigui ed univoci (ad esempio Terme ;edificio termale, ponte, tomba, escludendo quindi sepolcro  deposizione ecc.) il cui significato può essere ristretto da attributi  (es. Tomba a cappuccina), il legame tra predicati ed attributi è univoco, nel senso che un predicato accetta solo determinati attributi e non altri, così come ciascun attributo può essere accoppiato ad un predeterminato gruppo di predicati.

Questo tipo di struttura logica, che non si discosta molto dal linguaggio naturale si presta ad essere utilizzata proprio come campi «liberi» in cui occorre lasciare la possibilità di descrivere adeguatamente l'oggetto della schedatura senza però, per questo rendere scarsamente utilizzabile (soprattutto da un elaboratore) il contenuto dei medesimi. E insomma la strutturata per i campi di definizione, descrizione ed interpretazione ;che a ben vedere sono quelli fondamentali in una qualsiasi scheda riguardante i Beni Culturali.

La definizione del bene censito è formata da un predicato che può essere seguito da un massimo di tre attributi, il primo cronologico, il secondo di consistenza, il terzo individuativo. Gli attributi cronologici utilizzati sono volutamente generici e consentono una definizione per grandi aree, nel caso della carta dell'Agro sono Antico, Medievale e Moderno.Gli attributi di consistenza differiscono a seconda che si prenda in esame una entità a perimetro definito (casale, villa ecc.) o a sviluppo lineare; nel primo caso si utilizzano gli attributi Integro (omesso) (campitura piena nella carta) quando sia definibile almeno lo sviluppo planimetrico; resti (campitura tratteggio nella carta) quando è stato possibile verificarne autopticamente l'esistenza; tracce (evidenziato il solo contorno in carta) quando l'esistenza sia stata dedotta da fonti non autoptiche (presenza di ceramica, foto aeree, relazioni, bibliografia.

Nel secondo caso si utilizzano: certo (omesso) (a tratto nella carta) quando lo sviluppo è delineabile con sicurezza; probabile (tratteggiato nella carta) se il tracciato è desunto da elementi non autoptici (continuità, foto aeree ecc.)-Infine l'attributo individuativo indica l'eventuale nome proprio dell'entità censita e come tale non è soggetto ad alcuna restrizione.Il vantaggio di adottare un siffatto linguaggio codificato oltre a rendere omogenee tutte le descrizioni, le definizioni e le interpretazioni, consente all'elaboratore di controllare che non vengano effettuati impropri accoppiamenti tra predicati ed attributi fornendo un vero e proprio filtro «logico» all'immissione dei dati. Rifiuterà in pratica espressioni del tipo «tomba a grotticelle medievale» oppure «Casale-torre Romano».Come evidenziato in precedenza si tratta di un lavoro sperimentale che procede di pari passo con la revisione delle schede e l'immissione delle stesse nell'elaboratore che gestirà la banca dati territoriale dell'Agro Romano; sicuramente gli oltre 6000punti censiti con la loro ampia casistica costituiranno un ottimo banco di prova per l'affinamento di tale metodo e per la sua definitiva adozione.