Archeologia e Etica della Pubblicazione

Come tutte le attività scientifiche viene da chiedersi cosa sarebbe mai l’archeologia senza il fondamentale apporto delle pubblicazioni monografiche e delle riviste specializzate.

La facile ironia di Arthur Bloch che recita:

Sesta legge di Parkinson

Il progresso della scienza varia inversamente al numero di riviste pubblicate.

coglie comunque un disagio sempre più diffuso in questi ultimi anni nei confronti di uno strumento fondamentale del nostro lavoro quotidiano.

Pubblicare, specie opere di notevole impegno quali monografie o corpora, è un lavoro faticoso lungo e costoso, anche se sempre più spesso ci si avvale di strumenti efficienti come i personal computer, e che tuttavia si impone anche come un imperativo etico per chi nel caso di scavi si trova ad effettuare un lavoro irripetibile e distruttivo in nome non solo dell’ attuale comunità scientifica ma anche delle generazioni future.

Se tramandare la memoria della ricerca resta una delle motivazioni fondamentali e più nobili della pubblicazione talvolta gli si affiancano motivazioni meno nobili in cui è evidente lo scopo di tramandare anche la memoria del proprio ego o costituirsi dei "Titoli" utili per la propria carriera.

Se accettiamo una pacata riflessione sull’ etica della pubblicazione non possiamo non riconoscere che lo scopo primario delle nostre fatiche è e dovrebbe rimanere la circolazione delle idee e dei dati; tuttavia l’esperienza di questi ultimi anni mi ha portato a domandarmi se i tradizionali metodi di pubblicazione siano ancora efficaci ed adatti allo scopo.

Una delle regole fondamentali che tutti condividiamo ma non sempre riusciamo o vogliamo mettere in pratica è separare nettamente le idee dai fatti, le interpretazioni dai dati.

La ricchezza di dati proveniente da una ricerca archeologica è oggi enorme, per la stessa complessità che hanno raggiunto le tecniche di scavo di ricognizione e di indagine, tanto che non è più possibile esporre dettagliatamente tutti i dati in nostro possesso in quanto i costi e la mole della pubblicazione anche di un piccolo scavo rendono l’ impresa proibitiva, senza contare il fatto che molti lettori possono essere interessati a conoscere solo i risultati e non i minimi particolari della ricerca compiuta.

A questo si aggiunge il timore, poco nobile ma molto diffuso, che qualcun altro, in possesso dei nostri stessi dati, giunga a conclusioni divergenti dalle nostre, privandoci del merito delle scoperte, e quindi più o meno consciamente limitando la circolazione dei dati finiamo per limitare anche la circolazione delle idee.

Ci troviamo comunque costretti alla difficile scelta di far circolare solo idee e le conclusioni oppure con grosso sforzo tediare tutti con particolari per molti poco significativi con tutta una gamma di scelte intermedie che vanno dall’accettare l’alibi degli inevitabili tempi lunghi per non pubblicare affatto al compromesso delle comunicazioni preliminari, del tutto prive di dati.

Se non usciamo dalla logica tradizionale della pubblicazione cartacea rischiamo di restare sempre più intrappolati nelle contraddizioni sopra analizzate.

La telematica e la rete globale rendono già possibile la condivisione con tutti gli interessati di enormi moli di dati, scritti, grafici e fotografici, in tutta sicurezza e con dei costi migliaia di volte inferiori a quelli di una tradizionale pubblicazione tuttavia questa cultura manca totalmente nel mondo archeologico ed è estranea al nostro modo di lavorare.

L’informatica ha sviluppato potenti motori di ricerca che consentono di muoversi agevolmente tra milioni di documenti e dati, anche di carattere multimediale, ma preferiamo restringere il campo delle nostre conoscenze a quanto pubblicato in maniera tradizionale che per sua stessa natura è consultabile solo con l’aiuto di pochi e preziosi indici e cataloghi, necessariamente limitati e poco efficaci; se non accettiamo la rivoluzione dell’ informatica l’archeologia finirà per impoverirsi sempre di più non solo nei contenuti ma anche nelle idee.

La pubblicazione tradizionale resta ancora molto efficace per la trasmissione delle idee e delle interpretazioni ma occorre affiancarle la pubblicazione per via telematica dei dati mutando in modo radicale il nostro modo di lavorare.

La caratteristica innovativa di raccogliere dati con l’aiuto di un computer e di organizzarli in database è quella di fornire documentazione immediatamente fruibile con pochissimi accorgimenti non solo per chi compie la ricerca ma anche per tutta la comunità archeologica; non occorre lavorare alla rifinitura dei dati allo scopo della pubblicazione e le nostre energie sono libere di affrontare il vero problema che è quello della interpretazione e della storicizzazione dei dati, con il conforto di una quantità di confronti inimmaginabili con il metodo di pubblicazione tradizionale.

Si tratta di una rivoluzione che seppure trae origine dalla tecnologia disponibile, a ben vedere riguarda molto più il nostro modo di porci all’ interno della comunità scientifica ed ha quindi una sua dimensione "Etica".

Nella mia esperienza recente mi è capitato di progettare e realizzare sistemi informativi molto complessi basati su G.I.S. (Geografical Information Sistem), cioè su programmi che mettono in relazione cartografie diverse con fotografie e schede tradizionali (US SAS Inventari ecc) tuttavia da parte dei miei colleghi questi sono stati percepiti più come strumenti tecnologici che come un metodo nuovo di affrontare il nostro lavoro tanto che il sistema informativo è stato usato più come il contenitore finale dei dati che non come il naturale sostituto del giornale di scavo, delle schede cartacee, delle schedine bibliografiche, degli appunti e delle relazioni ecc.

L’enorme vantaggio di poter conservare tutte le informazioni, indipendentemente dalla loro natura, in un unico contenitore (il computer o la rete di computer) accessibile a tutti gli attori della ricerca (Archeologi, schedatori, restauratori, disegnatori, architetti ecc) è stato apprezzato solo in linea teorica dal momento che nessuno ha modificato il proprio modo di operare ed ha continuato a produrre la stessa documentazione di prima (giornale di scavo, delle schede cartacee, delle schedine bibliografiche, degli appunti e delle relazioni ecc).

Questa esperienza dimostra a mio avviso che ciò che va profondamente ripensato non è l’uso di strumenti più o meno sofisticati ma il modo di condividere le informazioni, farle circolare e renderle disponibili, cioè l’Etica stessa della Pubblicazione.

Sono convinto che il futuro della scienza archeologica dipenda in modo determinante non tanto da miracoli tecnologici o da teorie rivoluzionarie ma dalla capacità di ripensare il modo di pubblicare di stabilire rapporti tra studiosi e di costruire insieme quell’ humus di conoscenze ed esperienze da cui possano nascere nuove idee e più precise e complesse interpretazioni storiche e storico-artistiche e spero che questo mio intervento possa stimolare una riflessione ed un dibattito sui metodi della comunicazione e della ricerca.

Luca Sasso D’Elia